Come ho creato la mia prima APP. E come potreste farlo
anche voi.
...
Zaxxi!? Questa app già esiste...
Uber?
Poi in giro è pieno di #carsharing, Enjoy
e Car2Go che ti permettono di andare ovunque a pochi centesimi al minuto.
E che dire dei salutisti? L’altro giorno hanno fatto una manifestazione, tutti
in bici. Sono partiti dal Duomo, sì, con BikeMi. Con pochi €uro all’anno ti
senti meno in colpa con te stesso. Sì, ti dicono anche quanto CO2
hai risparmiato. Ti senti più green!
Ah, ma poi se vuoi uscire della città c’è BlaBlaCar: che figata quella! Apri la
app, cerchi qualcuno e tac ti ritrovi
con uno sconosciuto che ti saluta come se fossi il suo migliore amico. Sai che
sfiga se ascolta musica di merda? Non oso immaginare che viaggio verso
l’inferno sarebbe. 4 ore in macchina con uno sconosciuto. Naaah.
Co-working, start up, lavoro in remoto, conference calls o freelancing sono
solo alcuni dei termini a cui pensiamo per cercare di capire il cambiamento a
cui andiamo incontro. L’Italia sta finalmente capendo che i tempi del posto
fisso sono lontani (cit. Matteo Renzi, #Leopolda5) e che mobilità, mentale più
che fisica, è la parola d’ordine.
In quest’epoca di cambiamenti e
modernità tutti noi abbiamo a disposizione delle risorse meravigliose come i
motori di ricerca e i social network. In particolare questi ultimi stanno
battagliando fortemente per togliere il primato a Google in termini di tempo d’utilizzo
da parte degli utenti e le aziende si sono accorte che è facile comunicare con
gli utenti tramite un pagina Facebook, un account Twitter o Instagram, persino
tramite una pagina Linkedin come ha fatto la Mattel che ha creato il profilo
ufficiale della bambola Barbie sul social network per eccellenza dei
lavoratori!
Con l’Expo 2015 che si avvicina,
temi come il buon cibo e la sostenibilità ambientale acquisiranno una forte
preponderenza sui media e ci saranno diverse opportunità di visibilità per
quelle aziende o per quegli individui che sapranno padroneggiare i mezzi
attualmente più economici, più accessibili e più popolari da utilizzare: i
social media.
Ecco di seguito alcuni esempi di successo di alcuni brand o persone legate al
mondo del food che hanno avuto il merito di farsi notare grazie ad un corretto,
intelligente e/o divertente utilizzo di una comunicazione fatta tramite ciò che
mi piace definire social advertisement...
Ma anche storie di chi ne ha fatto a
meno, perchè ci ha pensato il pubblico a fare pubblicità per loro.
La Fast Food Communication sui social media
Da qualche tempo a questa parte il tema della comunicazione in tempo reale è divenuta fondamentale
per aver successo sui social network. Facebook e Twitter si danno battaglia per
conquistare le attenzioni degli utenti. Parlare del trending topic del momento
è ciò che distingue, ad esempio, una fanpage Facebook di successo da una che
ottiene poco engagement con i fan.
Ecco due esempi di social advertisement proposti da due grandi brand FMCG poco fa,
durante lo “scandalo” #Bendgate (i neo-possessori di iPhone 6 Plus denunciavano
che il device gli si piegasse in tasca... scatenando l’inferno sui social
media!
Mikado su Facebook e KitKat su
Twitter hanno ottenuto un engagement elevatissimo,
facendo divertire i propri ascoltatori che
hanno riconosciuto questi due contenuti come diversi rispetto alle solite
comunicazioni standard, uno dei punti di forza dei Social Adv che vengono spesso creati apposta per i social network.
Non è vero, ma ci credo
Parlando di professioni nel settore del food, è ormai da anni che in TV vanno
di moda i talent show legati al mondo del cibo, come Masterchef e affini, che
hanno successo in particolare sul satellite e sul digital terrestre.
Ma i cosiddetti esperti di cibo esistono anche nella
vita reale. Questo ha ispirato due geniali ragazzi Olandesi chesi sono posti
una domanda: gli esperti di cibo, sono davvero degli esperti?
I due hanno acquistato del cibo
da McDonald’s e dopo averlo camuffato,
lo hanno portato ad una fiera alimentare organizzata nei Paesi Bassi, facendo
assaggiare le “pietanze” a dei cosiddetti esperti e appassionati di cibo e alta
cucina, spacciandolo per una nuova alternativa biologica al cibo da fast food.
Risultato? 100% di feedback positivi, con addirittura persone che definivano
quel Big Mac tagliato a fettine come “Certamente
più puro e appetitoso del cibo di McDonald!”
La gente crede a ciò che vogliamo
far creder loro? Sembrerebbe di sì!
Inquietante ed affascinante allo stesso tempo.
Sex Sex Sex
Cambiamo ora leggermente
argomento, con una provocazione sotto forma di domanda: si può fare social
media marketing... offline? Certamente!
Domino’s Pizza, uno dei brand maggiormente
attivi su Facebook con oltre 10 milioni di fan e su Twitter con oltre 682 mila follower.
Il brand ha già capito da tempo che i cosiddetti user generated contents, sono una vera e propria manna per le
aziende poiché significano... pubblicità gratis.
Domino’s sta quindi incentivando i dipendenti ad inserire messaggi divertenti
sui cartelloni all’esterno dei punti vendita, messaggi che poi puntualmente
vengono ripresi e condivisi sui social, Facebook, Instagram o Twitter in
particolare.
Un modo intelligente ed economico
per ricordare agli affamati che se la fame chiama, Domino’s risponde!
Keep calm and be a good Community Manager!
Tornando al classico mondo della rete, un altro brand che sa come utilizzare i
social media come è certamente Just Eat.
La forza di Twitter, per i brand
legati al food, è senza dubbio la possibilità di fungere da customer service.
Il valore aggiunto è certamente il Tone of Voice utilizzato: nella foto
mostrata, il Community Manager risponde in maniera ironica ad un utente con un
utente che si chiedeva se fosse possibile mandare una pizza da Roma fino a
Trieste. L’utente ha infine premiato la risposta tagliente del Community
Manager con favourite (considerato
come una sorta di Mi Piace su Twitter), con la conversazione che poi è stata
ripresa da alcune testate del settore, diventando virale.
Questo è il modo giusto per
utilizzare i social media e Twitter in particolare? A mio modo di vedere, assolutamente
sì!
Il meccanismo sui social si
ribalta: sono gli utenti che decidono come impostare la conversazione, e non
viceversa.
L'importanza di chiamarsi Damon
Si può diventare famosi, servire
portate da 200 dollari l’una e avere una lista d’attesa che va dai cinque ai
dieci anni, il tutto senza fare assolutamente pubblicità? Evidentemente sì,
dando un’occhiata alla storia dello chef Damon Baehrel, cuoco originario di Earlton,
New York.
Se avrete la fortuna, la pazienza
e/o i soldi per visitare il suo ristorante da 12 tavoli, sappiate che la sua
fama deriva completamente da un viralissimo word-of-mouth,
il passaparola. Raccomandazioni cominciate copiosamente già dal 2006, anno di
apertura del bistrot, e vertiginosamente aumentate con il diffondersi dei
social media: provate a scrivere Damon Baehrel su Twitter e date un’occhiata a
tutte le menzioni, gli articoli, i video o le foto che ritraggono il
gastronomo, che non utilizza internet o possiede un cellulare, ma che crea le
sue pietanze da zero, fungendo anche da cameriere, cassiere e giardiniere nel
suo ristorante-tenuta.
Potenza di internet e dei social,
mista a bravura: complimenti!
There are many ways to entertain your community on Facebook.
But when we talk about the World Cup, all the brands have a special (and easy) opportunity to engage with more users than usual: sport, gossip, drama, emotions all concetrated in three hours of the match Germany - Argentina.
Let's have a look at some great examples of Social Media marketing and community management!
Brilliant! "The Best extra weight we have ever carrier".
Simple copy, hot topic related, basic graphic: just the best post World Cup related I've seen this year.
A famous song by LMFAO used to say "I am Sexy and I know it!"
For the NGO Plan International we can change the lyrics a little and say "I am lucky and I know it": their testimonial is not just a World Champion but is the man who scored the gol who gave the World Cup 2014 to Germany!
From good examples to a bad one: why Johnson&Johnson, one the main World Cup sponsor, just posted a simple congratulation post with the German flag? A good chance to engage, lost in the wind of social media posts. Just have a look at the huge engagement difference between this post and the Lufthansa post.
But there was also something happened during the match that was not broadcasted on the TV: the pitch invader. So here we go: all the news channel immediately shared photos of the runner, who was speared down. Poor boy!
User generated content were, of course, the 99% of social media post yesterday. But what about UGC when you have a leading actor of the 2014 World Cup final in Podolski and Schweinsteiger? This Sri Lanka radio immediately took the opportunity and shared the selfie (found of 9Gag, as we can read from the stamp on the pic) of the two German player: right timing, homies!
No doubt about it: Mario Gotze was really THE man yesterday night. But as GQ Inda reminds us, yesterday it was not his best score. Here too: good use of the hot topic of the moment, taking the girlfriend of Mario Gotze, Ann Kathrin Brommel, into the picture attracting male social media users.
Ci sono diversi modi per nascondere un Brand. In questo articolo cercherò di analizzare differenti tipologie di marketing strategy che ho avuto modo di osservare nel corso degli anni.
Innanzitutto: cos'è una #NoBrand Marketing Stategy?
Ci possiamo trovare di fronte a diverse strategie, completamente differenti tra loro. Il punto in comune è sempre lo stesso: un brand che viene abilmente occultato alla vista del consumatore, nonostante questo in realtà sia pienamente presente e rintracciabile da un occhio più smaliziato.
Andiamo ora ad analizzare alcuni esempi di Brand che hanno scelto di "nascondersi", con risultati diversi.
1) Mac Baren (tabacco)
Questa tobacco company ha scelto sicuramente una strategia diversa rispetto a praticamente tutti i suoi competitor e questo si evince sin dalla prima occhiata al packaging, dove troviamo una scritta che recita: "Roll your own American Blend for people who don't need a brand to tell other people who they are".
Uno statement forte che sicuramente induce curiosità e può spingere all'acquisto.
Ma non finisce qui: all'interno della confezione troviamo il secondo capitolo di questa forte e non casuale #NoBrand Marketing Strategy:
"Apporre un marchio è a volte la ricerca di esprimere ciò che le persone vogliono ottenere e l'apparenza di poter concedere tutto questo. Nel tabacco questa apparenza è stata sintetizzata con immagini di cowboys, artigiani, piramidi ed ancora temerari piloti da combattimento. Noi siamo produttori di trinciati del tabacco dal 1887 per fumatori che sanno cosa vogliono e preferiscono la qualità che si vede e l'aroma che si sente grazie alla raffinatezza e alla bontà delle varietà di tabacco impiegate. Se siete annoiati dalle solite abitudini avete scelto la giusta busta."
BOOOM!
La Mac Baren ha fatto centro: ha colpito l'attenzione dell'attenzione del consumatore dichiarandosi completamente estraneo ai "giochetti" tipici dei brand di tabacco: niente simbolismi, niente machismo, niente strategie. Carte scoperte. La promessa: sei un fumatore che punta sulla qualità? Siamo il brand giusto per te!
2) Soda Stream (non alcoholic beverage)
Da un brand nascosto, ad uno dove il marchio è in bella evidenza. Off topic? Non proprio! In questo caso il brand in questione è Soda Stream che ha speso ben 4 Milioni di dollari per una pubblicità con protagonista la sexy diva hollywodiana Scarlett Johansson, mandata in onda durante l'ultimo Superbowl, l'evento sportivo con più viewers al mondo, con l'obiettivo di pubblicizzare questo marchio di Soda la cui promessa è di avere meno zuccheri e di rispettare maggiormente la natura rispetto ai prodotti rivali.
In questo spot il brand Soda Stream è in realtà ben visibile. La genialata di marketing si trova nella parte finale dello spot, in una semplice frase di sole cinque parole: "Sorry Coke and Pepsi".
Citare i due diretti concorrenti possiedono praticamente la quasi totalità del market share planetario) sembrerebbe una mossa folle. Eppure, proprio questa strategia è stata la vera e propria ciliegina sulla torta, che ha permesso a questo video di diventare virale: la frase è stata infatti censurata in TV, poiché Pepsi era tra i protagonisti dell'half-time show. Soda Stream ha risposto realizzando l'hashtag #sorrycokeandpepsi, contribuendo a rendere il video virale e a "salvare il mondo", proprio come la Johansson chiedeva nello spot: ben 14 Milioni di viewers su YouTube. Non male, vero?
3) AS Roma (football club)
Dopo un esempio di successo, eccone uno che non ha propriamente incontrato i favori dei consumatori, o meglio dei tifosi. Dopo un accordo di sette anni Robe di Kappae in attesa dell'arrivo della multinazionale americana Nike a partire dalla stagione 2014-15, l'AS Roma ha presentato a Luglio 2013 la nuova maglia per la stagione 2013-14, una maglia unbranded prodotta da una piccola azienda, Ares srl, collegata al più nota Asics.
Nonostante sulla maglia, all'esterno e all'interno, fossero riportati simbologie e motti legati al tessuto culturale locale ("Solo per questa maglia.... Unico Grande Amore", l'anno di fondazione in numeri romani) e il numero di serie per indicarne l'unicità (#UnicaComeTe era l'hashtag di riferimento), la divisa non ha riscontrato il favore dei tifosi, in quanto la mancanza di uno sponsor tecnico l'ha fatta apparire, agli occhi di molti, come un "prodotto da bancarella".
E' questo il risultato di esposizioni a campagne pubblicitarie massicce? Un prodotto non può essere visto come di qualità se non è brandizzato da un marchio "blasonato"?
4) Marca del Distributore (GDO products)
Rispondendo alla domanda di chiusura del precedente paragrafo, sembra che non tutti la pensino alla stessa maniera. Se per alcuni il prodotto di marca, in particolare in ambito fashion, è qualcosa di molto importante (se non fondamentale), per molte altre persone, ad esempio nel campo del food, il marchio diventa di secondaria importanza rispetto ad altre variabili, come ad esempio il prezzo.
Prendendo come esempio la grande distribuzione organizzata (GDO), bisogna ormai considerare ormai le grandi catene come Esselunga, Simply, Conad o Carrefour dei veri e propri competitor di brand storici presenti sugli scaffali dei supermercati italiani. Secondo una recente ricerca infatti, la quota di mercato complessiva dei cosiddetti prodotti MDD (marca del distributore), è prossima al 20%, con oltre il 90% dei produttori che appartengono al tessuto locale italiano. Una bella soddisfazione per il Made in Italy!
E una scelta in più per il consumatore, che spesso si lascia attrarre tra un prodotto che non è accompagnato da un brand altisonante, ma che garantisce comunque la fiducia del supermercato sotto casa!
D'altronde, come è possibile non fidarsi di sé stessi?
5) Product Placement (movies)
La mia strategia preferita, so far! Raggiungere il consumatore quando è rilassato: sul divano, sul letto, sulla poltrona di un cinema, sullo schermo del tablet. Quello che una volta riusciva a fare la classica pubblicità televisiva e che ormai è totalmente appannaggio di film, serie tv e YouTube series.
Rendere il brand parte integrante della storia: come accade in Cast Away, dove Chuck Noland (Tom Hanks) interpreta un system analyst della FedEx, attraversando il mondo per risolvere problemi di produttività della sua azienda, fino a quando il suo aereo precipita nell'Oceano Pacifico: saranno proprio gli oggetti che trasportava a permettergli di sopravvivere. Grazie FedEx!
Venendo ad un esempio di Product Placement nostrano c'è il recente Benvenuti al Sud, dove Siani e Bisio lavorano nell'ufficio di Poste Italiane nella splendida cornice di Castellabate. L'Ufficio diventa teatro delle vicende dei protagonisti, rimanendo in secondo piano ma comunque un vero e proprio veicolo della trama!
Chiudo l'articolo con un esempio di Product Placement di finzione: può piacere o meno, ma è indiscutibile come Quentin Tarantino abbia sfornato alcuni tra i film più meritevoli di attenzione della storia recente del cinema. Il regista ha da sempre inserito nelle sue pellicole dei brand di finzioni, ma comunque sempre ricorrenti: tra questi i più famosi sono le sigarette Red Apple e la catena di hamburger Big Kahuna, conosciuti in particolare per la loro presenza nel film del 1994 Pulp Fiction.
Per oggi è tutto. Se avete commenti, date pure un'occhiata sulla colonna di destra e contattatemi attraverso Twitter, Google Plus, Facebook o Linkedin.
Cosa distingue le persone che hanno ottenuto il successo (o che lo stanno ricercando) da coloro che invece sono perennemente insoddisfatte?
In questa infografica sono state individuate ben 17 abitudini e caratteristiche che una persona di successo dovrebbe assolutamente perseguire.
1) Avere un senso di gratitudine
2) Complimentarsi con gli altri
3) Perdonare gli altri
4) Accettare le proprie responsabilità quando si fallisce
5) Tenere un diario
6) Desiderare il successo per gli altri
7) Tenere una lista di caratteristiche di come desideriamo essere
8) Stabilire degli obiettivi per la propria vita
9) Imparare continuamente
10) Trasformare la propria prospettitva
11) Tenere una "To Do" List rispetto ai propri progetti
12) Essere pronti al cambiamento
13) Ricercare la gioia
14) Condividere informazioni
15) Parlare di idee
16) Leggere ogni giorno
17) Dare agli altri credito per le proprie vittorie
Qui di seguito l'infografica completa, anche con le caratteristiche delle persone di insuccesso.
Ma mi auguro vi soffermiate maggiormente sulla prima parte :)
O meglio, lo sarebbe se non fossimo in Italia. Tafferugli, scorte mancate, spari ad un tifoso partenopeo. Cose che in un Paese civile non avverrebbero.
Ciò che colpisce maggiormente però è l'accanimento dei media (e social media) sul caso dell'ormai famigerato Genny A' Carogna: gli sono stati dedicati servizi, pagine Facebook di tributo e di odio.
La sua maglietta inneggiante ad un assassino, Antonino Speziale, (presunto o tale, c'è ancora da fare luce sulla faccenda, quindi preferisco non esprimermi) è qualcosa che fa discutere. E' paradossale però che sui telegiornali e sul web abbia trovato poco spazio l'altro protagonista, in negativo, della serata: Daniele De Santis, detto Gastone, già protagonista nel 2004 durante un derby Roma - Lazio. Un uomo che ha sparato e mandato all'ospedale in fin di vita un ragazzo napoletano, Ciro Esposito, che nella migliore delle ipotesi rischia ora di restare su una sedia a rotelle per la vita.
Ho riassunto nel grafico sottostante il buzz degli ultimi giorni registrato su Google Trends:
La sovraesposizione delle keywords 'Carogna' e 'Genny A Carogna' rispetto a quelle di 'Gastone' e 'Daniele De Santis' è sconcertante.
Il risalto dato dai media, in particolare dal commento poco lucido (e di parte) della RAI, ha creato anche dei trending topic su Twitter come #IlCapoUltrasHaDeciso e #GennyACarogna, generando conversazioni spesso a tema goliardico, ma anche di carattere razzista.
Come ha dichiarato il Questore di Roma Mazza, non c'è stata nessuna trattativa con Gennaro De Tommaso, il capo ultras del Napoli, ma solo la comunicazione che il tifoso fosse ancora vivo. Eppure, per l'ennesima volta, i media hanno storpiato la realtà, dando per scontato qualcosa che non stava accadendo, spingendo poi centinaia di migliaia di persone sui Social Media a commentare di conseguenza.
A tal proposito, ecco un video pubblicato da un ragazzo napoletano, Mario Esposito, che racconta i fatti con l'occhio critico, quasi commosso, di chi ha vissuto i fatti in prima persona.
E' il rischio di questi anni: non è il primo caso dove una notizia-bufala si diffonde a macchia d'olio, dove non viene verificata la fonte prima di sparare sentenze, dove qualcuno diventa protagonista negativo rispetto a colui o colei che meriterebbe invece l'onore (o l'onere) di essere sbattuto in prima pagina.